Heart On My Sleeve
È stato un esperimento musicale di ultima generazione: il risultato però tutt’altro che banale.
Il singolo è diventato virale sulle piattaforme digitali ed in particolare su Spotify, trasmesso in streaming circa 629.439 volte prima della sua rimozione (al tasso di royalty più basso di Spotify, la canzone ha guadagnato circa 1.888 dollari.)
Heart on my sleeve è la canzone di Drake e The Weekend data in pasto all’intelligenza artificiale. Il creatore del brano, @ghostwriter, ha utilizzato l’AI per clonare le voci dei due cantanti, motivo per cui, l’Universal Music Group, ha chiesto l’immediata rimozione dai servizi streaming. Secondo la Universal, la canzone violerebbe la legge sul copyright, intaccando la “responsabilità legale ed etica” della casa di produzione nei confronti degli artisti.

La verità è che la questione relativa alla legge sul copyright e l’AI è un tema spinoso ed intricato. La legislazione attuale non è adeguata per affrontare i deepfake e soprattutto i potenziali problemi in termini di proprietà intellettuale. Nonostante ci siano delle regolamentazioni che tutelano alcuni diritti sulle esibizioni degli artisti (come la realizzazione di copie di registrazioni di specifiche esibizioni), una voce deepfake che non copia specificamente un’esibizione, molto probabilmente resterà esclusa da questi stessi diritti e potrebbe addirittura essere considerata come un’opera protetta a se stante.

Sicuramente l’aspetto più preoccupante di questa situazione è l’indebolimento dei diritti morali. La possibilità che il tuo stile, il tuo marchio, il tuo suono possano essere imitati da altri è sicuramente un problema per la propria identità artistica e la sua tutela.
In fondo l’utilizzo dell’AI sembra non porre limiti alla possibilità di dare vita ad un lavoro che sappiamo essere “la copia di mille riassunti”.
Il prompt comandi dell’AI ci permette facilmente di inserire le informazioni che riteniamo rilevanti per ottenere il risultato desiderato, ma forse non riflettiamo abbastanza sulla provenienza di questi dati: le grafiche, i testi, i suoni, sono opere realizzate dai rispettivi autori, poi assorbite, rielaborate ed ottimizzate dal machine learning.
Secondo la legge sulla proprietà intellettuale, il creatore di un’opera ha il diritto esclusivo di pubblicarla e di goderne dei diritti di sfruttamento economico; pertanto, è necessaria la sua autorizzazione per poter procedere alla copia e alla rielaborazione di tale lavoro creativo.

E’ anche vero, però, che il copyright non ha mai avuto lo scopo di limitare l’uso delle idee e delle informazioni “estrapolabili” da un’opera; ciò vorrebbe dire che l’uso del copyright nel campo dell’AI potrebbe risultare addirittura contraddittorio rispetto all’obiettivo per cui è nato e cioè favorire lo sviluppo di un ambiente in cui la creatività possa prosperare.
Nel frattempo, alcuni dei più importanti strumenti a disposizione degli utenti si sono mossi in anticipo e in totale legalità, ad esempio Photoshop, che ha introdotto Photoshop Firefly, basato su AI generativa.
Per farlo però, Photoshop si serve di Beta, un calderone di contenuti estrapolati da Adobe Stock (tutti a pagamento.)
Un’alternativa (abbastanza complessa) potrebbe essere quella di utilizzare la blockchain, ed assicurare così ad ogni creativo il riconoscimento di una quota per ogni passaggio di contenuto da un “blocco all’altro”.
Siamo curiosi di scoprire quali saranno i futuri sviluppi tra AI e diritti d’autore; nel frattempo, invitiamo tutti i creativi a non smettere mai di interrogarsi, perché le macchine si evolveranno ma avranno sempre dei limiti invalicabili. La mente umana non ha confini.